È un grandissimo onore per me poter parlare, oggi, all’Università di Bologna, che vanta la tradizione accademica più antica del mondo. Esprimo la mia sincera gratitudine a tutti coloro che hanno reso possibile questo evento. Rivolgo inoltre un ringraziamento particolare al Magnifico Rettore Roversi Monaco.
Mi è stato chiesto di esporre alcune considerazioni sul ruolo dell’ONU. Credo che Bologna sia la sede più adatta per riflettere insieme su questa organizzazione, così importante per il futuro del nostro pianeta.
Cinque anni fa, a Tokyo, manifestai al Rettore Roversi Monaco e al Prorettore Rinaldi la convinzione che le Nazioni Unite dovrebbero avere lo stesso spirito di universalità che anima da novecento anni il vostro ateneo: un patrimonio così prezioso di internazionalità e cosmopolitismo, infatti, permetterebbe all’ONU di superare i limiti imposti dalle sovranità nazionali e di aprirsi nuovi spazi di autonomia.
Sappiamo che moltissimi studenti, già nel 1200, affluivano all’Università di Bologna da ogni parte d’Europa. Questa città era famosa non solo per il suo carattere internazionale, ma soprattutto per la grande autonomia intellettuale e culturale che aveva sviluppato nel corso del tempo.
Negli annali dell’epoca si legge che gli studenti rifiutarono di sottomettersi anche all’autorità dell’imperatore Federico II: «Non siamo canne palustri che pieghiamo a un fiato di vento, – dichiararono – se verrai ci troverai». (1) Credo che l’essenza fondamentale di un «cittadino del mondo», ieri come oggi, risieda proprio in questo spirito di autonomia.
A SOSTEGNO DELLE NAZIONI UNITE
La SGI, in quanto Organizzazione non governativa (ONG) ha svolto e sta svolgendo numerose attività a scopo umanitario. Dal 1982, in collaborazione con le Nazioni Unite, abbiamo preparato alcune mostre che sono state presentate in molte città di tutto il mondo. Tra queste: Armi nucleari: una minaccia per l’umanità; Guerra e pace e Ambiente e sviluppo. Tali iniziative vogliono tradursi in un appello rivolto alle persone affinché utilizzino la loro saggezza e le loro capacità per contribuire alla soluzione dei numerosi problemi che affliggono il mondo.
Inoltre, in nome di un rispetto assoluto per la dignità di tutti gli esseri umani, è stata organizzata l’esposizione Diritti umani nel mondo contemporaneo. Inaugurata a Ginevra presso la sede europea dell’ONU nel dicembre del 1993, in occasione del quarantacinquesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la mostra è stata riproposta nel febbraio di quest’anno, sempre a Ginevra, durante l’incontro della Commissione ONU per i diritti umani. Fino a pochi giorni fa era possibile vederla anche a Londra.
Il nostro Comitato femminile per la pace e la cultura ha promosso altri eventi, dedicati alle nuove generazioni di tutto il mondo: Diritti umani dei bambini, e Bambini del mondo e Unicef, che hanno raggiunto un grande successo. Siamo inoltre impegnati, prevalentemente grazie agli sforzi dei giovani, in raccolte di fondi per l’assistenza ai profughi e nella campagna Voice Aid, culminata con l’invio di trecentomila radio destinate agli abitanti della Cambogia. Io stesso, in varie occasioni, ho presentato numerose proposte per la pace, per il disarmo e per la riforma delle Nazioni Unite. Alcune di queste erano destinate, in tre occasioni, all’Assemblea straordinaria per il disarmo.
La SGI non è un’organizzazione politica. Prima di tutto, essa promuove la riforma interiore dell’essere umano sulla base del pensiero buddista. Per questo motivo, oggi, invece di offrire delle proposte specifiche di riforma dell’ONU, desidero mettere a fuoco gli ideali per cui la Soka si impegna, che sono fonte spirituale del suo rinnovamento, e discutere sull’ethos della cittadinanza globale che ne delineerà il futuro.
L’autorità delle Nazioni Unite dovrebbe nascere essenzialmente dal cosiddetto soft power, un «potere morbido» che trovi i propri princìpi ispiratori nel dialogo, nella collaborazione e nella ricerca di soluzioni pacifiche. Sviluppare questa forza significa dotarla di un fondamento spirituale e ideale. Tale processo, anche se a prima vista più lungo, alla fine risulterà il più efficace. Non voglio entrare nel merito dell’uso in Bosnia dell’hard power o «potere duro», credo invece che lo scopo principale dell’ONU sia quello di esercitare prima di tutto il soft power.
Le Nazioni Unite compiranno cinquant’anni nel 1995: la loro storia è recente. Paragonata a quella del genere umano, sembra appena agli inizi, ma confrontandola al breve e tragico destino della Società delle Nazioni, il suo mezzo secolo di vita comincia ad avere un certo peso. Con la fine della Guerra Fredda tra USA e URSS, le operazioni di pace dell’ONU si sono intensificate e sono diventate sempre più importanti. Sembra, anzi, che ai nostri giorni stia riemergendo lo spirito che le animava alle origini e noi dobbiamo, a ogni costo, fare in modo che tale spirito continui a fluire nel XXI secolo, il secolo della speranza.
Franklin Delano Roosevelt, trentaduesimo presidente statunitense, svolse un ruolo di primo piano nella nascita delle Nazioni Unite. Egli ereditò quello stesso spirito internazionale e umanitario che aveva ispirato Woodrow Wilson nella formazione della Società delle Nazioni. Oggi questo spirito rappresenta la vera forza motrice dell’ONU. Roosevelt fu criticato e tacciato di idealismo per i suoi instancabili sforzi nel farsi portavoce della sicurezza universale presso uomini come Stalin e Churchill. Uno storico, cinicamente, liquidò le sue idee definendole «umanesimo cosmico». La critica potrebbe avere una sua giustificazione se pensiamo che il ruolo dell’ONU durante la Guerra Fredda era ridotto a pura formalità. Ma il tempo ha dato ragione a Roosevelt e ora che si parla di un ritorno allo spirito originale delle Nazioni Unite, quell’«umanesimo cosmico» non è più una chimera o una fantasia.
Queste riflessioni richiamano alla mia mente la grande figura di Leonardo da Vinci: la vedo come se fosse un oggetto che progressivamente diventa sempre più nitido nel mirino di una macchina fotografica. Potrebbe sembrare strano collegare Leonardo alle Nazioni Unite: da una parte lui calmo, che passeggia «al di là del bene e del male», e dall’altra un luogo dove si intrecciano interessi egoistici e tornaconti di parte. Sono due immagini in apparenza inconciliabili. Ma noi dovremmo avere una visione delle cose a piccolo e a largo raggio. Quindi, se ci poniamo da un punto di vista globale, possiamo comprendere che l’epoca in cui viviamo esige lo «sguardo universale» di Leonardo. «Leonardo e Michelangelo» scriveva Karl Jaspers «sono due mondi che si toccano appena: Leonardo è cittadino del mondo e Michelangelo patriota». (2)
Credo che la «volontà di dominare se stessi» sia il primo insegnamento che dobbiamo ereditare da Leonardo. Uomo libero, autonomo e assolutamente indipendente, egli non solo rifiutava la prigionia delle norme etico-religiose, ma era anche svincolato da tutte quelle relazioni o strutture che regolano la convivenza umana: la patria, la famiglia, gli amici, i conoscenti. Da vero cosmopolita, viveva in modo solitario e distaccato. Di lui non si hanno molte notizie biografiche. Ne vorrei ricordare alcune che possano aiutarci a comprendere meglio la sua personalità.
Come noto, era figlio illegittimo e visse sempre solo, senza sposarsi. Non sembrò nutrire un affetto particolare per la sua patria, la Repubblica di Firenze. Finito l’apprendistato in Toscana visse dieci anni a Milano presso la corte di Lodovico il Moro. Alla caduta del Duca, dopo un brevissimo periodo con Cesare Borgia, continuò a spostarsi tra Firenze, Milano e Roma. Alla fine, accettò l’invito del Re e si trasferì in Francia dove trascorse la vecchiaia e morì. Non era un uomo insensibile, né mancava di virtù morali, ma per tutta la vita rimase fedele alle proprie aspirazioni, distaccato dalle cose terrene. In qualunque situazione, favorevole o svantaggiosa, Leonardo non mostrava quasi mai interesse per valori comuni quali l’amor di patria, l’amicizia o l’inimicizia, il bene o il male, il bello o il brutto, il guadagno o la perdita. Non si lasciava allettare dalla promessa di onori e denaro, ma non cercava neppure di opporsi alla volontà dei potenti. Continuava semplicemente ad andare avanti, inseguendo solo ciò che gli stava a cuore. La sua strada non aveva nulla a che fare con l’etica mondana.
Il pittore di Monna Lisa, l’elegante figura femminile su cui aleggia il misterioso sorriso che tutti conosciamo, fu al tempo stesso l’autore della Battaglia di Anghiari, dove si scontravano furiosi guerrieri dalla forza erculea, in grado di intimidire anche i più feroci demoni della cosmologia orientale.
Quel Leonardo che osservava e studiava il movimento delle acque, la vita delle piante, che analizzava il volo degli uccelli, era lo stesso Leonardo che fissava poi lo sguardo sul volto dei cadaveri di giustiziati, impugnando il bisturi per i suoi studi di anatomia. Era in possesso di una incommensurabile scala di valori che il senso comune, sul quale si misurava la società dell’epoca, non arrivava certo a comprendere. La sua natura di uomo libero e cosmopolita si manifestava nella capacità di andare al di là delle regole: in lui si sono realizzate le più alte aspirazioni di vitalità e originalità del Rinascimento italiano.
Credo che tutto ciò sia stato reso possibile dalla sua non comune «volontà di dominare se stesso»: «Non si può avere maggiore né minore signoria» scrisse «che quella di sé medesimo». (3) Per Leonardo, quindi, il dominio di se stesso era il primo imperativo morale: la questione più importante di tutte le altre.
Ritengo che chi esercita a pieno il controllo di sé possa adattarsi liberamente a qualunque realtà; l’atteggiamento verso i fatti della vita, di conseguenza, verso il bello e il brutto, il bene e il male, acquista un valore secondario. Per fare un esempio, egli rispose senza battere ciglio all’invito del re di Francia che aveva sconfitto il suo mecenate Lodovico il Moro. Benché agli occhi di tutti ciò potesse apparire una mancanza di coerenza morale, per lui non si trattò di opportunismo, bensì di grande tolleranza e apertura mentale.
LEONARDO E L’UMANESIMO COSMICO
Il distacco di Leonardo dalle cose terrene si avvicina al concetto buddista di shusseken («trascendere il mondo»), il quale, però, va ancora più avanti nell’analisi: non si ferma, cioè, al «distacco delle cose». Shusseken, infatti, si può tradurre con «andare oltre il limite imposto dalle parole e arrivare all’essenza stessa della realtà». Ciò significa quindi superare tutte le distinzioni fra guadagno e perdita, amore e odio, bello e brutto, bene e male, vale a dire tra tutte le dicotomie che il linguaggio impone. Il significato di «staccarsi» da questo modo di vedere le cose, dunque, si può comprendere fino in fondo solo alla luce del significato originale di shusseken. I testi buddisti, infatti, spiegano come l’ideogramma ri, che significa «staccarsi», sia sinonimo di mei, che significa «chiarire nella sua essenza». Per meglio comprendere il significato di ri, è necessario rifarsi al secondo capitolo del Sutra del Loto in cui Shakyamuni dice: «Da quando ottenni la Buddità ho esposto ampiamente i miei insegnamenti tramite molti esempi di relazioni passate e molti racconti. Ho condotto le persone a rinunciare ai loro attaccamenti con innumerevoli mezzi». Le scritture buddiste così commentano il brano del Sutra: «Rinunciare dovrebbe leggersi come “comprendere chiaramente”». Perciò il vero significato di «andare oltre il limite imposto dalle parole» non è solo quello di emanciparsi dagli attaccamenti, ma soprattutto quello di realizzare una salda indipendenza spirituale in modo da riconoscere e utilizzare i vari attaccamenti da una dimensione più elevata.
«L’universalità di Leonardo» scrisse Karl Jaspers «aveva stupito Friederich Nietzsche il quale affermò: “(Leonardo) ha una visione che va oltre quella cristiana; egli conosce bene l’Oriente, sia quello interiore che quello esterno, in lui vi è qualcosa di sovraeuropeo”». (4) Questa affermazione può essere correlata alla somiglianza tra il pensiero buddista e quello di Leonardo: lo spirito che «ha superato il mondo» viene spesso paragonato a uno specchio.
A proposito della «volontà di controllare se stessi» vorrei riportare una scena per me indimenticabile, descritta in Leonardo da Vinci, un libro di Dimitri Mereskovskij. Sembra che buona parte di questa biografia critica sia frutto dell’immaginazione dell’autore, ma i pensieri di Leonardo, che dall’alto di una collina osserva con il suo discepolo la battaglia tra Lodovico il Moro e i francesi, sono descritti in modo così efficace da farli apparire oltremodo verosimili. Scrive Mereskovskij: «Guardarono ancora le nuvolette lontane al di sopra delle vampe delle cannonate. Ma ora parevan loro così piccole e remote, così pacifiche nella rosea luce del sole al tramonto, da non poter credere che laggiù davvero si combattesse, che laggiù vi fossero uomini occupati a uccidersi tra loro. […] Tacevano entrambi; ma in quel momento tutt’e due, l’artista e il ragazzo, sentivano la stessa cosa; che importava quale dei due vincesse, il re o il duca, i francesi o i lombardi, gli stranieri o i connazionali? Patria, politica, gloria, guerra, cadute d’imperi, rivolte di popoli, tutto quel che agli uomini pareva grandioso e tremendo, non somigliava forse a quella minuscola nuvoletta di fumo dissolventesi nella rosata luce del crepuscolo, in mezzo all’eterna serenità della natura?» (5)
La vera immagine della guerra è bassa e miserabile quando viene proiettata sullo specchio di uno spirito padrone di sé. Tale modo di vedere è una naturale manifestazione dell’«umanesimo cosmico». La Soka Gakkai Internazionale, a partire da questa condanna della guerra, promuove un movimento per la pace e la cultura in primis attraverso il sostegno offerto alle Nazioni Unite. In breve, crediamo che la riforma, la trasformazione sociale, debba essere sostenuta e promossa dall’autoriforma individuale, da quella che, in termini buddisti, viene definita «rivoluzione umana». Sono certo, inoltre, che la convinzione leonardesca di controllare la propria «parte interiore» acquisterà sempre più importanza per noi che viviamo in questo scorcio di secolo, per noi che assistiamo alla tragedia dei conflitti etnici come risultato di uno sguardo unicamente rivolto agli «aspetti esterni» dell’essere umano, alle istituzioni, all’ambiente.
ALLA RICERCA COSTANTE DI UNA NUOVA COMPIUTEZZA
È noto come il sogno di Leonardo fosse quello di vedere gli esseri umani volare nel cielo come gli uccelli. Si potrebbe dire, usando una metafora, che pure la sua anima abbia continuato a volare per tutta la vita.
«Acquista cosa nella tua gioventù che ristori il danno della tua vecchiezza, ovvero che trastulli la tua. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoperati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.» (6)
«Sì come il ferro s’arruginisce senza esercizio e l’acqua si putrefà o nel freddo s’addiaccia, così lo ‘ngegno sanz’esercizio si guasta». (7)
«Prima morte che stanchezza.» (8)
«Tutte le opere non sono per istancarmi.» (9)
I pensieri di Leonardo qui riportati, rivelano come quest’uomo non solo manifestasse una grande genialità, ma fosse anche capace di sforzi notevoli e prolungati nel tempo. Si dice, per esempio, che quando dipinse L’Ultima Cena si applicasse al lavoro dall’alba al tramonto, senza bere né mangiare. Oppure che fosse in grado di rimanere tre o quattro giorni immerso nei suoi pensieri, camminando avanti e indietro senza toccare i pennelli. Aveva una capacità di concentrazione straordinaria. Eppure, in contrasto con l’ossessione creativa che lo pervadeva, come tutti sanno, sono rare le opere che portò a termine. I suoi pochi dipinti restano quasi tutti incompiuti.
È senz’altro fuor di dubbio che Leonardo fosse un «genio universale», un artista dotato di talenti molteplici e di grande versatilità: pittura, scultura, invenzioni di macchine e armi, ingegneria civile. Non c’è campo dove il suo ingegno non si fosse applicato. Ma, come per il sogno irrealizzato del volo umano, quasi tutti i suoi tentativi restarono a livello d’idea o d’intenzione. è singolare comunque come Leonardo non si preoccupasse affatto di ciò e come non provasse sofferenza o rimpianto: spostava semplicemente il suo interesse su altre cose. Quello che agli altri poteva dare una sensazione di incompletezza, per lui, in un certo senso, era completo. Si trattava certamente di un processo sinergico che potremmo definire «completezza dell’incompiuto». Risulterebbe altrimenti incomprensibile il contrasto tra la sua ossessione creativa e il gran numero di opere non portate a termine. Tuttavia, la «completezza dell’incompiuto» era al tempo stesso «incompletezza del compiuto». Lo spirito dell’epoca rinascimentale viene espresso come totalità, sintesi e universalità. Leonardo deve averlo intuito e deve aver intuito il mondo della totalità, che sarebbe poi la vita cosmica in continua e infinita espansione, fluttuazione e creazione. Quel mondo che Jaspers chiamò: «La totalità che ogni cosa deve avere al suo servizio». (10)
L’attività creativa di Leonardo nella pittura, nella scultura, nell’invenzione di macchine, nelle opere di architettura o d’ingegneria, consisteva nell’utilizzare al massimo il suo talento per proiettare il mondo universale nel particolare. Consisteva nel rendere visibile il mondo invisibile. Pertanto, anche se un capolavoro poteva vantare la sua compiutezza, in quanto evento nel «mondo del particolare», avrebbe mantenuto comunque il carattere di incompiutezza. Ma l’essere umano non può accontentarsi di questo perché è destinato a un «volo continuo», alla ricerca costante di una nuova compiutezza. Anche Shakyamuni, poco prima di morire, aveva affermato: «(Monaci), vi dico: “Tutte le cose sono transitorie, diligentemente continuate a lottare per raggiungere il vostro scopo”» (Sutra del Nirvana). Questo dovrebbe essere il modo di vivere che più si addice all’individuo, come spiegano anche i seguenti brani che rappresentano l’essenza del Buddismo Mahayana: «Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese (senza rilassarvi un solo attimo)» (11) e ancora: «Anche uno specchio appannato brillerà come un gioiello se viene lucidato. Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata della vita è come uno specchio appannato, che però una volta lucidato diverrà chiaro e rifletterà l’illuminazione alla verità immutabile.» (12)
Dalla «completezza dell’incompiuto» alla «incompiutezza del completo»: si può dire che il sinergismo di questi due movimenti rappresenti, nella sua globalità, il movimento stesso della vita e della realtà che dinamicamente si forma, si sviluppa e si trasforma.
LA REIFICAZIONE DEL LINGUAGGIO
Dichiarandosi «Leonardo da Vinci, discepolo della sperienza», (13) egli continuò a osservare il movimento della realtà eliminando ogni preconcetto; Leonardo nutriva di conseguenza poca fiducia e diffidenza per la funzione del pensiero discorsivo che tende a reificare e cristallizzare la realtà. Leonardo aveva una visione innovativa della pittura e comprendeva, quindi, i limiti della parola. Questo suo punto di vista mi fa pensare a Nagarjuna, il grande filosofo del Buddismo Mahayana. Egli aveva mostrato gli stretti confini del linguaggio che, per la sua stessa natura, tende a fissare e a imprigionare i fenomeni. Secondo Nagarjuna, la parola ha unicamente un valore strumentale: la realtà assoluta di tutti i fenomeni, infatti, va al di là del linguaggio e non può essere da questo definita. Egli interpretò il concetto buddista di origine dipendente (in giapponese engi), nei termini di «vuoto» o «potenzialità». Tale potenzialità è l’essenza del reale che trascende l’essere e il non essere. Tutte le cose, i fenomeni, gli esseri viventi, infatti, partecipano della stessa natura dipendente e sono collegati gli uni agli altri. Vengono a esistere, quindi, per mezzo della causalità. Il filosofo indiano descrive questa interdipendenza postulando, di volta in volta, ciò che essa non è. Non si deve quindi diventare prigionieri delle parole, neanche di quelle come «origine dipendente» o «potenzialità», perché, così facendo, si perde di vista la loro vera entità che è assenza di definizioni. Infatti: «L’origine dipendente – scrive Nagarjuna – non viene distrutta, non viene in essere, non cessa, non è eterna, non è singola, non è plurima, non giunge, non si allontana – questa è la più alta virtù che trascende la vuotezza delle parole». (14) Fermare la realtà con le parole, dunque, significa annullare l’osmosi dinamica tra compiuto e incompiuto e creare l’illusione che una stabilità temporanea sia una stabilità eterna.
Leonardo, come Nagarjuna, sembra avvertire il pericolo che tale presunta stabilità possa risultare, alla fine, una specie di «serra» ideale dove crescono spiriti pigri che scelgono sempre la via più facile. Soltanto con questi presupposti possiamo apprezzare in tutta la sua luce la massima di Leonardo: «La impazienza, madre della stoltizia, è quella che lauda la brevità». (15) Ne deriva dunque anche la necessità di fare attenzione a non perseguire in modo estremista l’ipostatizzazione illusoria di un progetto «ideale», lontana dalle trasformazioni del reale. In tal senso, come per ogni problema politico e sociale, sono da evitare le estremizzazioni anche nel caso delle Nazioni Unite, perché significherebbero fiducia cieca e totale e la fiducia cieca, al primo passo falso, può sempre trasformarsi in sfiducia. Il risultato sarebbe inevitabilmente disastroso. Per tutti questi motivi, credo che il cammino da seguire sia quello tracciato da Leonardo.
Fin qui ho tentato un approccio al patrimonio spirituale di questo genio universale, ho evidenziato due punti: la «volontà di essere padroni di se stessi» e il «volo continuo» e li ho poi collegati al pensiero buddista. Jacob Burckhardt disse: «Un grande uomo è un uomo senza il quale il mondo ci apparirebbe incompleto». (16) Leonardo è sicuramente uno di questi grandi uomini. La sua vita e il suo pensiero irradiano una luce immortale sul Rinascimento italiano.
Credo che mai come oggi, in quest’epoca immersa nei gravi problemi di fine secolo, l’umanità abbia bisogno di un patrimonio spirituale come quello di Leonardo, «uomo in splendido isolamento» e «viaggiatore solitario». Anche la formazione di un nuovo e globale sistema imperniato sull’ONU dipende, in definitiva, da quanti «cittadini del mondo», in grado di sostenerlo, possano crescere e svilupparsi. La Carta delle Nazioni Unite inizia con queste parole: «Noi, Popoli delle Nazioni Unite […]».
Ciò significa che i cittadini comuni sono sempre il soggetto principale e la base della convivenza umana. Per questo motivo, grazie all’unione e alla spinta di tutti i «cittadini del mondo», desideriamo che l’ONU diventi un vero «Parlamento dell’umanità», un luogo dove la voce e i desideri delle persone possano essere ascoltati e realizzati. Allo stesso tempo mi chiedo: «Dov’è la dignità di un essere vivente? Dov’è il reale valore di un essere umano? Qual è il punto essenziale nei rapporti di amicizia tra i popoli e le nazioni?» Credo che la risposta si trovi in un umanesimo rinnovato. Un umanesimo che, tramite gli scambi e il superamento di ogni diversità etnica e di pensiero, riempia con la cultura il corso sotterraneo dei rapporti di amicizia tra i popoli. Anche io, come buddista, sono determinato a dirigermi insieme a voi tutti verso una nuova alba della storia dell’umanità, facendo tesoro dell’insegnamento che ci ha lasciato Leonardo.
Con l’augurio di un grande sviluppo al vostro ateneo, l’Alma Mater Studiorum, concludo con alcuni versi della Divina Commedia di Dante, un poeta legato a questa Università:
«Non aver tema» disse il mio segnore;
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogni vigore.» (17)
NOTE
(1) G. Zaccagnini, La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna nei secoli XII e XIV, L. Olschki, Ginevra, 1926, pag. 7.
(2) Karl Jaspers, Lionardo als Philosoph, Francke Verlag, Bern, 1953, pagg. 73,74.
(3) Codice H 119, Bibliothéque de l’Institut de France, Paris.
(4) Karl Jaspers, Lionardo als Philosoph, Francke Verlag, Bern, 1953, pag. 70.
(5) Dimitri Mereskovskij, Leonardo da Vinci, Giunti Martello, Firenze, 1982, pag. 359.
(6) Codice Atlantico, 310.
(7) Codice Atlantico, 785 bv.
(8) Windsor, Royal Library, 12700.
(9) Windsor, Royal Library, 12700.
(10) Karl Jaspers, Lionardo als Philosoph, Francke Verlag, Bern, 1953, pag. 65.
(11) Gli Scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, pag. 188.
(12) Ibidem, vol. 4, pag. 5.
(13) Codice Atlantico, 520.
(14) Daisaku Ikeda, Buddismo, il primo millennio, Bompiani, Milano, 1986, pag. 134.
(15) Windsor, Royal Library, 19084.
(16) J. Burckhardt, Sullo studio della storia, Torino, Boringhieri, 1958, pagg. 243, 244.
(17) Purgatorio, IX, 46-48, Fabbri, Milano, 1968, pag. 90.