Dal’11 al 24 novembre si è svolta a Baku, in Azerbaigian, la COP 29. Abbiamo chiesto ad Andrea Yuji Balestra, che avuto modo di partecipare con una delegazione dell’istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, le sue impressioni.
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- 1. Qual è lo scopo delle COP?
Quella che si è da poco conclusa è stata la ventinovesima edizione di una COP – Conferenza delle Parti – degli stati firmatari di un accordo specifico (parti, appunto).
In questo caso preciso si è trattato della conferenza delle Nazioni Unite più importante per quanto riguarda il cambiamento climatico, perché vede coinvolte le nazioni che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), firmato al Summit della Terra di Rio de Janeiro nel 1992, e ratificato nel 1994.
Esistono altre COP, che si tengono a ridosso o poco dopo le Conferenze sul clima, come per esempio la Conferenza delle Parti sulla biodiversità o quella sulla lotta alla desertificazione, ma si può dire che la Conferenze delle Parti facente riferimento all’UNFCCC sia la più importante in questo ambito, sia perché tratta la tematica da un punto di vista onnicomprensivo, sia per l’urgenza con cui è necessario affrontarla. Per questo motivo si tratta anche di un evento enormemente partecipato da rappresentanti e ministri dei vari governi del mondo, gruppi di scienziati o con specifici interessi, organizzazioni non governative e società civile.
La COP, in un certo senso, è il culmine di un anno di impegni che porta poi le nazioni del mondo a deliberare su come portare avanti l’agenda dei lavori nell’anno successivo. Si tratta quindi della versione più vicina a quella di un parlamento dell’umanità in cui vengono portati avanti i propri interessi in modo anche piuttosto forte, ma è soprattutto l’unico luogo di dibattito in cui gli stati possono arrivare a un compromesso globale in questo ambito.
- 2. Perché la SGI partecipa alla COP?
Siamo arrivati alla quarta edizione consecutiva in cui la Soka Gakkai Internazionale partecipa alla COP. A partire dallo scorso anno, tra l’altro, è stato istituito un padiglione interreligioso, segnale di come la partecipazione delle confessioni a questo tipo di conferenze stia assumendo un sempre maggior significato.
In particolare, la Soka Gakkai Internazionale, per mezzo del suo status di ONG accreditata presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) partecipa attivamente alla COP e anche la Soka Gakkai italiana, grazie ai buoni rapporti intessuti nel corso degli anni, collabora da qualche anno con vari progetti delle Nazioni Unite sotto varie forme.
Oltre ogni aspetto, però, la presenza della SGI è importante perché ci è possibile fare advocacy affinché vengano sempre utilizzati, durante i lavori, un approccio e un linguaggio basati sui diritti umani, di modo che anche formalmente, nel testo finale che sancisce la chiusura di un’edizione della COP, questi non vengano dimenticati in favore di una transizione energetica indiscriminata.
Un approccio di questo tipo è possibile proprio perché la SGI promuove l’assoluto rispetto della dignità della vita senza lasciare indietro nessuno.
Le COP sono luoghi in cui si condensano lavori lunghi oltre un anno; per questo motivo, ci sono pressioni molto forti dall’esterno nei confronti dei decisori politici. Si tratta anche di luoghi isolati e chiusi, talvolta alienanti, in cui la luce artificiale sovrasta le sale delle riunioni e confonde lo scandire delle ore e dei giorni.
Proprio in questo contesto, risulta fondamentale la partecipazione della società civile globale, che porta le istanze delle persone comuni e continua a farlo all’interno degli spazi della COP, con l’obiettivo specifico di ricordare che, qualunque decisione venga presa, questa dovrà mettere al centro le persone.
A questo proposito, diventa importante il ruolo di istituzioni come la Soka Gakkai che, per mezzo di una solida filosofia alla base del proprio insegnamento abita gli spazi della COP con un’ intenzione e, creando buoni legami in ogni situazione – a partire da quelle più informali – mette al centro di tutto il rispetto per la dignità della vita, lavorando per la giustizia.
- 3. Quali sono stati gli aspetti più positivi e quali quelli più negativi di questo Cop?
Si dice che un buon accordo è uno di quelli che non soddisfa appieno nessuna delle parti in campo. L’edizione della COP di quest’anno si è conclusa un giorno e mezzo oltre la chiusura prevista, proprio per la difficoltà oggettiva di uscire con un accordo, dopo la stesura di una bozza che non veniva ritenuta soddisfacente dai paesi del cosiddetto Sud globale. Si è anche temuto, a un certo punto, che si sarebbe usciti dalla Conferenza senza un documento finale.
L’intesa è poi stato trovata, tra gli altri aspetti, sulla base del raggiungimento di un target minimo per quanto riguarda il New Collective Quantified Goal (NCQG) nell’ambito della cosiddetta finanza climatica, che stabilisce le risorse che le nazioni più ricche dovranno allocare per aiutare quelle in via di sviluppo a fronteggiare le conseguenze della crisi climatica.
Si è trattato di un nuovo punto di partenza, che instrada le negoziazioni della prossima COP30, che si terrà in Brasile, verso la direzione di un maggior coinvolgimento delle prime nel contenimento degli effetti del cambiamento climatico. Diventa quindi sempre più importante il coinvolgimento di più attori nelle discussioni riguardanti questa tematica. Risulta sempre più evidente come i soli specialisti nell’ambito non possono agire da soli, ma necessitano di una visione intersezionale, e che professionisti in ogni settore si sentano investiti di questa responsabilità. La società civile non fa eccezione, e in questo senso è ancora più cruciale il ruolo dei giovani, in quanto essi hanno la capacità di aprire nuove strade, se viene loro permesso di partecipare ai processi decisionali senza scadere in uno youthwashing di facciata. In questo senso, è importante coinvolgere i giovani proprio per un loro minore legame con dinamiche riguardanti il passato. Questa freschezza permette loro di essere incisivi in modo del tutto inaspettati.
- 4. All’interno di un contesto socio-politico globale dove l’emergenza climatica non solo si fa sempre più seria e urgente, ma risulta anche la più chiara spia delle tensioni internazionali crescenti e dell’aumento delle disuguaglianze, come possono i giovani di tutto il mondo diventare la forza trainante del cambiamento, come promotori attivi di pratiche trasformative?
L’emergenza climatica si lega a doppio filo a un’altra tematica che deve essere affrontata globalmente. Si sente spesso, infatti, che i giovani non nutrono speranze nei confronti del futuro, proprio a causa delle conseguenze visibili del cambiamento climatico, che rosicano la certezza di poter condurre le nostre esistenze in sicurezza.
Questa, per esempio, è stata la testimonianza condivisa da Dean Cooper, Global energy Lead di WWF che era presente alla COP come rappresentante della società civile, i cui figli adolescenti hanno condiviso con lui un sentimento di apatia relativa al loro impegno quotidiano a scuola a causa della sfiducia imperante che sentono verso il loro futuro.
In questi casi si fa spesso riferimento al concetto di ecoansia, che deriva in prima battuta da un sentimento di sopraffazione e solitudine rispetto a eventi verso cui ci sentiamo impotenti, perché troppo grandi da essere affrontati. Si tratta di una solitudine di intenti e di programmazione, quindi.
Il Buddismo di Nichiren insegna che ci è possibile affrontare queste sfide senza perdere il contatto con la realtà quotidiana, e anzi per mezzo di un appiglio a quest’ultima possiamo vivere in modo efficace, generando speranza in modo continuativo.
In questo senso ci è possibile vivere con l’intenzione della frase dello scritto Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese
Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, volume I, Istituto Buddista italiano Soka Gakkai, p. 25.
“Se vi preoccupate anche solo un po’ della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l’ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quadranti del paese.”
Un impegno circoscritto e concreto nel nostro ambiente più prossimo ci permette di mantenere al tempo stesso una visione globale e trionfare nel quotidiano. Come è possibile fare tutto ciò senza perdere fiducia, quando gli eventi sembrano schiacciarci? Ricercando la comunità, agendo insieme agli altri. Questo è già un modo per invertire una tendenza, per non andare a tutta velocità verso una visione pessimistica del futuro e, di fatto, dando vita a delle “profezie autoavveranti” secondo cui se temiamo una particolare visione del mondo, focalizzandoci solo sulle conseguenze, questa finirà certamente per avverarsi. Questo tipo di impegno genera credibilità perché crea compattezza, e permette di relazionarsi con chi si occupa di questioni globali mostrando un altro tipo di visione.
Daisaku Ikeda ha trattato questa tematica nel suo dialogo con Lawrence J. Lau, già Professore di Economia all’Università Stanford dal 1976 al 2004:
“abbiamo discusso delle cosiddette “aspettative auto-realizzanti” [self-fulfilling expectations, un fenomeno noto da tempo specie con riferimento ai mercati finanziari: ci si aspetta che qualche cosa capiti, si agisce di conseguenza e si facilita il verificarsi dell’evento, n.d.r.]. In altre parole abbiamo discusso sull’idea che le aspettative attuali delle persone si possano riflettere in future evoluzioni dell’economia. Sviluppare un atteggiamento positivo e lungimirante può avere quindi un effetto benefico anche sull’economia. Questo è uno dei tanti modi in cui la legge di causa ed effetto opera nella società umana.
Ikeda, D. (2012), Maestro e discepolo, Esperia edizioni, p. 32
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Per leggere gli articoli delle edizioni passate delle COP, puoi approfondire ai seguenti link: