L’associazione ACMOS (Aggregazione, Coscientizzazione, MOvimentazione Sociale) nasce nel 1999 a Torino da un gruppo di giovani provenienti da diverse esperienze di volontariato e di impegno sociale, accomunati dal desiderio di cercare insieme percorsi di solidarietà e giustizia, di partecipazione e responsabilità. Il suo scopo è promuovere e sostenere l’inclusione democratica, attraverso l’educazione ai valori della cittadinanza attiva e della legalità. ACMOS fonda il suo operato sul coinvolgimento attivo dei giovani cittadini, sulla promozione del loro sviluppo culturale e sociale, sull’educazione come veicolo di inclusione sociale e valorizzazione delle diversità.
Scu.Ter. (Scuola e Territorio) è un progetto educativo di ACMOS rivolto alle scuole secondarie di secondo grado per promuovere l’educazione alla cittadinanza, diffondere la cultura democratica, stimolare la partecipazione e l’impegno politico giovanile in ambito scolastico ed extrascolastico, favorire l’alleanza educativa tra scuola e territorio e lo sviluppo di una comunità educante attiva.
Gabriele Gandolfo è membro dell’associazione ACMOS e responsabile del progetto Scu.Ter.
Nel corso di questo dialogo in due parti abbiamo avuto modo di approfondire con lui l’esperienza concreta che ha maturato tramite un’attività continuativa e informale nell’ambiente scolastico, oltre ad analizzare soluzioni concrete che permettono ai ragazzi di trovare la forza interiore per determinare il proprio futuro insieme agli altri.
Puoi trovare il link alla seconda parte qui
_________________________________________
Condividere gli stessi ideali
Redazione: Gabriele, grazie davvero di partecipare a questo dialogo!
Ti abbiamo contattato perché abbiamo intravisto nel progetto Scu. Ter. delle affinità con la realtà della Soka Gakkai, nel modo di pensare, di agire e di interagire cuore a cuore con le persone, in particolare con i giovani. Ci piacerebbe scoprire qualcosa di più di questo progetto di ACMOS, con la speranza di uscire tutti incoraggiati da questo dialogo.
Gabriele: Grazie mille per questa opportunità. Ricambio tutte le parole che state usando: dal mio punto di vista vedere il vostro entusiasmo e la voglia di dedicarsi agli altri mi riempie di felicità.
Intanto ci tengo a presentarmi: mi chiamo Gabriele Gandolfo, ho 27 anni e sono di Torino, città in cui ho frequentato il liceo, e dove poi mi sono laureato in scienze politiche e sociali.
Durante la mia esperienza al liceo, tra le mura scolastiche, ho incontrato ACMOS e il progetto Scu.Ter., di cui poi sono diventato responsabile. In quel periodo, caratterizzato da numerose riforme scolastiche, vivevo il fermento rispetto a quello che stava succedendo in Italia: era affascinante, ma era anche molto disordinato e istintivo, senza capacità organizzativa, né di mettere in linea i pensieri. Quando io e i miei amici incontrammo l’associazione, rimanemmo colpiti dal fatto che vi fossero ragazzi che scelgono di tornare a scuola, non esattamente come “peer” ma neanche come adulti, costruendo laboratori, spazi di confronto ed assemblee per riflettere su come tutto ciò che vediamo nel mondo intercetti anche la nostra vita.
Ci piaceva Herman Hesse, e in particolare il libro “Siddharta”, la cui introduzione descrive i protagonisti come dei cercatori che non si limitano all’apparenza delle cose ma che vanno a fondo, interrogandosi sul legame tra gli individui e il mondo e chiedendosi come intervenire per trasformare la realtà.
Uscire dal proprio guscio
R: E’ grandiosa la possibilità che Acmos offre alle persone, in particolare ai giovani, di utilizzare in modo proattivo le sofferenze che si vivono rispetto a quello che vediamo nella società, che ci sembra ingiusta e squilibrata, creando del valore a livello locale. Ciò è importante soprattutto nel periodo adolescenziale, in cui usciamo spesso dalla nostra zona di comfort. Questo rimanda proprio all’esempio di Siddharta, che con l’uscita dalla protezione del castello scopre le sofferenze della vita. La chiave è poi trovare un modo per trasformarle, perciò è molto incoraggiante avere delle opportunità concrete sul territorio che permettano di mettere in pratica tutto questo.
Vorremmo condividere un incoraggiamento che ci ha ricordato questo spirito: è un estratto dalle proposte di pace che il nostro maestro e presidente, Daisaku Ikeda, invia ogni anno ad alti rappresentanti delle Nazioni Unite:
«La dignità innata della vita non si manifesta nell’isolamento – scrive il presidente Ikeda nella Proposta di pace 2013 – ma è attraverso il nostro attivo confronto con gli altri che la natura unica e insostituibile di ciascuno diventa evidente». Riporta a tale riguardo il pensiero della filosofa tedesca Hannah Arendt, che nella sua analisi di ciò che si può definire autenticamente umano (humanitas) […] sostenne che «l’umanità non si raggiunge mai in solitudine ma solo da chi ha esposto la propria persona e la propria vita al “rischio della sfera pubblica”», descrivendo questo rischio come l’azione di «aggiungere il nostro filo in una rete di relazioni» e che «questo rischio è possibile solo laddove c’è fiducia tra le persone, una fiducia difficile da esprimere ma fondamentale, in ciò che vi è di umano in tutti noi.»
BS 222, p.16
G: Abbiamo davvero tante affinità e questo testo mi colpisce molto, perché si percepisce la volontà di costruire delle reti che ti mettono in relazione con qualcun altro, donando un senso di comunità. Oggi la tendenza dominante è quella di un individualismo – e di un consumismo – sfrenato.
E’ preoccupante che le cose debbano andare solo in un certo modo. Se invece vuoi uscire da quel binario quali sono le alternative? Perché queste esistono, solo che non sempre sono facili da incontrare. A volte mi capita di dire che non ci sono sponsorizzazioni sui social che ti fanno conoscere scelte diverse e dei modi di stare al mondo differenti, che non si basano sul sacrificio, ma su un desiderio davvero alternativo.
Mi colpiva molto la riflessione sulla speranza che faceva Paulo Freire, educatore e politico del Brasile degli anni ‘60/’70. Egli vedeva come centrale la questione culturale, per alfabetizzarsi insieme e mettere in scacco il potere. Ne “La pedagogia della speranza”, Freire afferma che senza speranza non possiamo andare da nessuna parte, ma anche che al contempo essa non basta da sola, perché serve costruire pratiche di lotta e di liberazione convincenti.
Mi ritrovo molto nel concetto di “passare dalla disperazione al protagonismo”, e di avere in mente la sofferenza, che ci deve essere utile per chiederci: come riusciamo a costruire un mondo diverso, un mondo in cui mettiamo al centro tutto l’amore e la voglia di scrivere realtà diverse? Di riuscire quindi a trovare la forza di mischiarsi nella società, di costruire relazioni, anche con la politica e le istituzioni. Per questo motivo credo che le proposte di pace che avete citato abbiano un valore di un certo spessore, in cui si manifesta la volontà di riuscire a dialogare con le istituzioni affinché il mondo possa cambiare.
R: Sono azioni che possono sembrare lente, che spesso incontrano dei pregiudizi o dei blocchi ma in realtà, proprio come ci insegna il concetto della rivoluzione umana, ogni giorno è importante per migliorare noi stessi e per trasformare la società.
Solo se facciamo un lavoro interiore possiamo contribuire a un cambiamento all’esterno. Tendenzialmente questo processo è molto più lento rispetto ad una manifestazione o a qualcosa di più eclatante, ma è più efficace nel tempo, perché più profondo. Quello che ci hai raccontato con la tua esperienza, di come grazie all’esempio di altre persone hai deciso di far parte di questo movimento, esemplifica la trasformazione del cuore degli esseri umani e della società in cui viviamo.
G: Penso che un tema centrale relativo a questo sia quello della fiducia, di quanto riusciamo a costruire legami veri. Oggi vediamo tanta diffidenza ed io penso che invece, attraverso un esempio o una testimonianza, si possa generare la voglia di avvicinarsi. Il pensiero dominante però va in un’altra direzione, verso la colpevolizzazione del singolo e della “tirannia del merito”a discapito degli altri.
Un altro aspetto è che tutti questi discorsi sembrano essere stati inghiottiti dalla società; viene infatti sminuito il loro valore profondo, oppure sono tacciati di buonismo, del tipo: “Ma ancora le persone credono a qualcosa di diverso?” Allo stesso modo è fondamentale che ognuno e ognuna parta da un lavoro interiore. Quante volte viviamo l’alibi del guardare prima cosa fanno gli altri, invece di pensare a quanto ognuno di noi può essere testimone attivo? È la cosa più complicata, ma è la prima da cui è necessario partire.
Clicca qui per leggere la seconda parte del dialogo!